La rappresentazione della «mossa di Berlusconi» data da Andrea
Ferrari su L’Eco di venerdì 7 dicembre, è decisamente fuorviante e merita alcune
precisazioni.
Il ritiro della fiducia al governo da parte del Pdl non è frutto di un capriccio, ma è un atto di responsabilità, equivalente a quello a suo tempo compiuto da Berlusconi, quando, pur titolare di un forte mandato popolare e senza avere subito la sfiducia parlamentare, si dimise e consentì la nascita del governo Monti.
Quel governo nasceva in vista di alcuni obiettivi, strettamente connessi tra loro. I duri sacrifici imposti ai cittadini dovevano, infatti, essere finalizzati a ridare fiato all’economia e a porre basi per la crescita. Ma il rigore ha finito per diventare fine a se stesso, penalizzando i tradizionali punti di forza del sistema Paese: le piccole e medie imprese, le famiglie e i comuni.
La cura Monti, insomma, non ha funzionato come ci si aspettava. Lo confermano i recenti dati sull’impoverimento del ceto medio e sulla retrocessione degli indicatori della crescita: dal Pil ai consumi, dalla produzione all’occupazione. La ragione di questo fallimento è tutta politica: pur guidato da un moderato, il governo ha, di fatto, subìto i pesanti condizionamenti della sinistra.
Quanto al riferimento all’aumento dello spread, presentato come un effetto della posizione del Pdl, va precisato che la credibilità di un Paese è ancorata alla chiarezza delle prospettive politiche e alla riconoscibilità delle scelte dei leader. Del resto, ai mercati è già nota la scadenza naturale della legislatura in primavera: non sarà l’anticipo di qualche settimana a sconvolgere il quadro. Inoltre, l’accorpamento delle elezioni politiche e di quelle regionali, al fine di evitare inutili sprechi, è una questione di elementare buon senso di questi tempi. L’immagine del Paese viene, semmai, danneggiata da una prospettiva post-elettorale incerta, sia in merito alla leadership sia in merito alle possibili maggioranze di governo. Di certo, la confusa e contraddittoria coalizione Bersani-Vendola-Camusso, con i suoi rigurgiti populistici e demagogici, non pare la più adatta a rassicurare i mercati.
Insomma, sarebbe da irresponsabile, per un leader come Berlusconi, a fronte del fallimento del governo tecnico, non lavorare alacremente per la costruzione di una prospettiva di governo forte e credibile, insieme alla Lega di Roberto Maroni a tutti quelli che, come la maggioranza degli italiani, non si riconoscono nel centrosinistra.
Il ritiro della fiducia al governo da parte del Pdl non è frutto di un capriccio, ma è un atto di responsabilità, equivalente a quello a suo tempo compiuto da Berlusconi, quando, pur titolare di un forte mandato popolare e senza avere subito la sfiducia parlamentare, si dimise e consentì la nascita del governo Monti.
Quel governo nasceva in vista di alcuni obiettivi, strettamente connessi tra loro. I duri sacrifici imposti ai cittadini dovevano, infatti, essere finalizzati a ridare fiato all’economia e a porre basi per la crescita. Ma il rigore ha finito per diventare fine a se stesso, penalizzando i tradizionali punti di forza del sistema Paese: le piccole e medie imprese, le famiglie e i comuni.
La cura Monti, insomma, non ha funzionato come ci si aspettava. Lo confermano i recenti dati sull’impoverimento del ceto medio e sulla retrocessione degli indicatori della crescita: dal Pil ai consumi, dalla produzione all’occupazione. La ragione di questo fallimento è tutta politica: pur guidato da un moderato, il governo ha, di fatto, subìto i pesanti condizionamenti della sinistra.
Quanto al riferimento all’aumento dello spread, presentato come un effetto della posizione del Pdl, va precisato che la credibilità di un Paese è ancorata alla chiarezza delle prospettive politiche e alla riconoscibilità delle scelte dei leader. Del resto, ai mercati è già nota la scadenza naturale della legislatura in primavera: non sarà l’anticipo di qualche settimana a sconvolgere il quadro. Inoltre, l’accorpamento delle elezioni politiche e di quelle regionali, al fine di evitare inutili sprechi, è una questione di elementare buon senso di questi tempi. L’immagine del Paese viene, semmai, danneggiata da una prospettiva post-elettorale incerta, sia in merito alla leadership sia in merito alle possibili maggioranze di governo. Di certo, la confusa e contraddittoria coalizione Bersani-Vendola-Camusso, con i suoi rigurgiti populistici e demagogici, non pare la più adatta a rassicurare i mercati.
Insomma, sarebbe da irresponsabile, per un leader come Berlusconi, a fronte del fallimento del governo tecnico, non lavorare alacremente per la costruzione di una prospettiva di governo forte e credibile, insieme alla Lega di Roberto Maroni a tutti quelli che, come la maggioranza degli italiani, non si riconoscono nel centrosinistra.
Di Gregorio Fontana, deputato del collegio di Dalmine.
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